Mamme di figli che nascono dal cuore

Tutti i bambini nascono dal grembo di una donna, ma non tutte le madri sono «mamme di pancia». Genitori che prendono l'aereo per incontrare i propri figli: l'adozione internazionale, storie e percorsi

È un lungo viaggio, quello dell'adozione. Un viaggio interiore per il quale si ha in tasca un biglietto di sola andata, comunque vadano le cose. Genitori (più o meno riusciti) si rimane per sempre, infatti, anche quando per diventarlo ci si imbarca su un volo transoceanico che porta all'altro capo del mondo. Di quest'avventura e dei suoi rituali - la domanda in carta bollata, le pratiche burocratiche, la telefonata che annuncia l'abbinamento con uno o più bambini, la prima volta che si vede una fotografia, magari neanche tanto nitida, del proprio futuro figlio e il tanto sospirato incontro, infine - delle tempeste emotive che scatena e delle incognite che presenta sappiamo qualcosa di più grazie alla docufiction Mamma ha preso l'aereo.

Scritto dalle autrici Chiara Salvo e Giulia Cerulli il reality, andato in onda su La7 la scorsa stagione («si sta lavorando a un follow up per la prossima stagione, con il seguito delle storie già andate in onda, e non è improbabile che segua una terza edizione con nuove coppie», ci dice Chiara Salvo), è stato realizzato in collazione con Cifa Onlus, organizzazione non governativa nata nel 1980 che si occupa di adozione internazionale. Un'iniziativa, quella del Cifa e delle autrici, criticata, tra gli altri, dal giudice minorile Simonetta Matone, che ha paventato il «rischio di mandare un messaggio edulcorato» e ha giudicato inopportuna l'idea di esporre i minori perché «per loro è sempre un trauma». «Polemiche preventive - ci dice Chiara Salvo -, perché poi i nostri stessi detrattori, quando hanno visto le prime puntate, si sono ricreduti. La nostra è un troupe eccezionale, che ha lavorato con grande attenzione e delicatezza. Abbiamo fatto una scelta di trasparenza tale da condividere la visione dei dvd delle puntate con le maestre e le classi dei bambini, così che non si creassero situazioni di imbarazzo». Una «sfida difficile» la definisce Gianfranco Arnoletti, presidente del Cifa, e tuttavia meritoria in un Paese che fatica a familiarizzare con le storie di integrazione «di chi ha una pelle o una storia diversa. E raccontare queste storie, autentiche, ci è sembrato utile e giusto per i bambini stessi».

Bambini che, divenuti prima adolescenti poi giovani uomini e donne, non parlano molto volentieri dei loro trascorsi, delle gioie e delle difficoltà del crescere in una nuova famiglia, in un Paese tanto diverso e lontano da quello proprio d'origine, se è vero che solo un terzo degli interpellati (e tra questi il 27% degli intervistati maggiorenni) ha accettato di rispondere al questionario del Cifa, che ha monitorato la situazione dei figli adottivi (per il 78% dei casi provenienti dal Centro e Sud America) tra il 2008 e il 2009. A sorpresa mediamente più soddisfatti della propria vita, rispetto ai figli naturali loro coetanei («ma questo può dipendere - avverte il presidente del Cifa - dalle diverse aspettive o dalle esperienze passate»), i giovani adottati hanno spesso una vita familiare e di amicizia felice, ma facilmente hanno incontrato difficoltà nell'inserimento scolastico, soprattutto se sono stati adottati in età scolare.

«E questo mi preoccupa - continua Arnoletti - perché l'inserimento d'obbligo nella classe di riferimento per età anagrafica prevista dalla legge è un problema per questi bambini. Ahinoi, è possibile saltare un anno solo se un medico certifica che il bambino è handicappato. Noi auspichiamo - e abbiamo sensibilizzato il ministro Gelmini a questo proposito - che ogni caso sia valutato singolarmente da una persona competente che indichi l'opportunità o meno, nell'interesse del bambino, di posticipare l'inserimento in classe». «La riuscita scolastica può dipendere anche da fattori emotivi, chissà. I cinque fratellini protagonisti di una delle storie da noi raccontate hanno reagito diversamente, per esempio: i due più grandi, che vivono al Nord, sono bravissimi, non hanno nessun problema, mentre i tre più piccoli che vivono al Centro hanno avuto qualche difficoltà in più. Certo, con tutti bisogna fare sempre molta attenzione: sono bambini che hanno subito danni enormi». La scuola e il post adozione: questi i nervi scoperti di un meccanismo che non trova sufficienti supporti dal punto di vista dei servizi sociali.

Spesso è l'associazione che ha curato l'adozione ad accompagnare le famiglie nella fase di preparazione e in quella successiva di sostegno: «è importante quindi che i genitori che vogliono adottare - avverte Arnoletti - valutino bene come opera l'associazione alla quale si rivolgono e che accettino di essere bombardati da ipotesi di problemi futuri che magari poi non si verificano. Meglio però stappare una bottiglia di champagne festeggiando lo scampato pericolo che chiudere gli occhi e poi dover piangerci sopra. Occhio agli enti che vantano molte adozioni all'attivo: non basta fare i numeri per avere un curriculum di successo. Il bambino deve trovarsi bene. E ricordiamo che l'eventuale fallimento non colpisce solo i genitori e il minore, ci colpisce tutti: tribunale, servizi sociali ed ente di riferimento». Meglio fare i conti prima con la propria inevitabile inadeguatezza (che riguarda anche i genitori "naturali") e prepararsi per tempo pur «coscienti di non essere perfetti - scrive su Mammeonline.net Fabio Selini, autore di Il padre sospeso - e di non poter calcolare le tante sfumature che il ruolo di genitore offre e richiede».

E d'accordo che «l'adozione non è il surrogato di unamaternità naturale che non si è concretizzata» avverte Arnoletti e che la «cultura dell'adozione è una cultura dell'accoglienza che riguarda una famiglia che abbia spazi non solo economici ma soprattutto affettivi da offrire», è anche pacifico che non sia una cosa da prendersi alla leggera, ma questi genitori hanno davanti quasi sempre, ben oltre i canonici nove mesi di una gravidanza, attese di anni (e con loro i figli che nel frattempo crescono negli orfanotrofi), nel silenzio delle istituzioni. «La voce dei genitori adottivi è spesso troppo sottile (e spesso troppo garbata, dico io) - scrive ancora Selini - per essere ascoltata in un panorama chiassoso come quello della politica; difficile farsi ascoltare ed ancora più complicato ottenere. (...) Un cammino di gioia (cosa c’è di più gioioso di accogliere un bimbo?) si trasforma spesso in percorso ad ostacoli sofferto e faticoso che poco ha da spartire con i sentimenti di amore ed accoglienza che permeano l’anima dei protagonisti. Parliamone, parliamone e parliamone ancora» conclude uno dei tanti padri e madri sospese.

Fonte : Libero news

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