Stefano, da baby chef a Foggia a missionario-clown in Nepal
E chi l’ha detto che i giovani sono “scomparsi”? Che non hanno più voglia di impegnarsi? E semmai di sognare? La storia di Stefano Delli Carri testimonia, in maniera pressoché inequivocabile, l’esatto contrario. «E non credo che si tratti della classica eccezione che conferma la regola. Penso piuttosto che molti ragazzi hanno ancora voglia di esprimersi, ma spazi e prospettive sono sempre di meno... ». Stefano ha solo 25 anni, foggiano decisamente atipico: a cominciare dal modo in cui parla. Avendo vissuto due anni a stretto contatto con uno spagnolo (suo socio di imprese solidali), al locale dialetto delle consonanti dimezzate (il foggiano) ha completamente sostituito un purissimo “castigliano” (la lingua più diffusa della penisola iberica). Ed ha completamente congedato quella accidia congenita tipica dei suoi coetanei, in luogo di un iper attivismo che lo ha trascinato fuori di casa a 19 anni.
Prima Londra (dove ha fatto lo chef per 4 anni), poi tra Giappone, Cina, Tibet, India, Nepal, Malesia, Filippine e Thailandia (mezzo viaggiatore e mezzo turista in cerca di un perché per altri 2 anni). E questo «perché» Stefano l’ha sempre rintracciato nella solidarietà, nel sostegno - fino ad ora espresso artigianalmente - alle popolazioni più povere del continente più antropizzato al mondo. Fino a quando (insieme all’inseparabi - le socio Quim Martinez Chepero, a una giornalista di Malaga e a un ex docente di medicina dell’Uni - versità di Siviglia) non ha individuato la bussola di questi spostamenti suggestivi ma spesso strazianti.
«Ho capito che se voglio stare lì, in Asia, almeno per un po’, devo trovare il modo per rendermi utile. Concretamente utile». Da qui l’idea di costituire “Soñadores sin Fronteras”, una fondazione che al momento mette insieme tre spagnoli e un italiano. Per l’appunto, un foggiano. Una fondazione che, dal prossimo mese di aprile, si occuperà di raccogliere, mettere insieme e disciplinare l’utilizzo di 900mila euro per una serie di progetti umanitari da realizzare nella Capitale del Nepal: Kathmandu.
«Un progetto sanitario, uno educativo e l’altro sociale - spiega alla Gazzetta Stefano Delli Carri -. Abbiamo in animo di realizzare tante cose, ma come al solito reperire i fondi rischia di diventare un problema. Anche se non ci scoraggiamo affatto, sia chiaro. I diritti delle donne, la scolarizzazione dei bambini, la tutela dei minori a rischio e il loro reinserimento nella società, la disintossicazione dei bambini-operai (molti infanti sono completamenti assuefatti alla colla, ndr) sono solo alcuni degli obiettivi che intendiamo portare a termine. E mi piacerebbe che, nei limiti del possibile, anche la mia città fosse coinvolta in questa grande scommessa».
Il lavoro - così come viene descritto da Stefano - sembra già a buon punto. Con diversi contatti stabiliti con università straniere e organizzazioni non governative che operano in Asia, inseguendo l’obiettivo dichiarato di «strappare quanti più bambini alla miseria che li attende». Certo quella di Stefano non è l’unica missione umanitaria Made in Daunia, solo per citarne alcune val la pena ricordare - ancora una volta - lo straordinario lavoro che da anni svolgono “Solidaunia” e “I piccoli di Karol” rispettivamente in Guinea Bissau e Costa d’Avorio. Ma quello che stupisce, dell’esperienza umana e solidale della “Fundación Soñadores sin Fronteras” (letteralmente “Solidarietà senza frontiere”) è che l’anima e il corpo coincidano nei volti di due ragazzi che messi insieme non superano i 50 anni. «In realtà - aggiunge Stefano - in tutti questi anni, subito dopo il ritorno da Londra, ho sempre pensato che il modo migliore per sentirsi utili potesse essere quello di rendersi visibile agli altri. Insomma, ho pensato che il mio benessere potesse arrivare dalla condotta di vita e dalle esperienze che mi apprestavo a fare in uno dei posti più straordinari e difficili del mondo. Cioè l’Asia».
Da qui l’avvio di un percorso interiore culminato nella “Fondazione”, che potrebbe portare un pezzo di foggianità - quella sana, costruttiva e invidiata da tutti - anche molto lontano. «Stiamo dialogando con l’Università di Foggia, precisamente con la facoltà di agraria che mi sembra molto interessata - aggiunge Stefano -. Voglio riuscire a portare anche un pezzo della mia comunità nel Nepal, se c’è una cosa che mi piace è come i foggiani concepiscono la solidarietà. La grande dignità con cui sanno fare del bene, molto spesso senza farlo sapere a nessuno». E a chi si stesse chiedendo “cosa pensano i genitori di un ragazzo esposto in mezzo al mondo come una bandiera in mezzo ai venti”, lui stesso sorride e racconta. «Sono talmente felici di questa mia scommessa che, privandosi dei loro regali di Natale, hanno devoluto i soldi che avrebbero speso in favore dei poveri di Kathmandu. E’ stato un gesto che mi ha chiarito tutto, molto più che se mi avessero detto “siamo orgogliosi di te”».
fonte : http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it
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