Il Nepal cerca ancora la sua strada verso la democrazia


ASIA. Le dimissioni del primo ministro Madhav Kumar Nepal potrebbero portare alla formazione di un governo di unità nazionale e al ritorno dei maoisti. Il rischio però è quello di una nuova paralisi istituzionale.

Una lenta agonia che si è conclusa con un’inevitabile resa. Dopo 13 mesi alla guida di un esecutivo formato da una coalizione di 22 partiti il primo ministro nepalese Madhav Kumar Nepal ha rassegnato le dimissioni, cedendo alle continue richieste dei maoisti e del loro storico leader Pushpa Kamal Dahal, meglio conosciuto come Prachanda, “il fiero”. L’ennesima crisi di governo che si è aperta così nell’ex regno himalayano rischia ora di protrarre ancora a lungo la paralisi istituzionale e politica che affligge da oltre un anno la più giovane repubblica del mondo. E il processo di pace avviato nel 2006 dopo l’abolizione della monarchia potrebbe conoscere l’ennesima battuta d’arresto.

Dal 4 maggio del 2009, il giorno delle dimissioni di Prachanda dalla carica di primo ministro e dell’uscita dei maoisti dal governo dopo le vittoriose elezioni del 2008, il Nepal non riesce a trovare un proprio equilibrio. Nel corso dei mesi precedenti le proteste contro il presidente Yadav e il governo di unità nazionale di Nepal sono andate costantemente aumentando, senza che le forze politiche siano riuscite a instaurare una reale forma di dialogo che consentisse di portare avanti i lavori per la stesura della nuova Carta fondamentale del Paese. Le dimostrazioni di protesta più intense si sono avute nelle scorse settimane: all’inizio di maggio uno sciopero di sei giorni indetto dai maoisti ha bloccato la capitale Kathmandu. Le manifestazione sono poi andate avanti per tutto il mese e per quello successivo, impedendo di fatto all’esecutivo di svolgere le proprie funzioni.

«In questo momento in Nepal ci sono due nodi centrali, intrecciati tra loro, che devono essere sciolti: il raggiungimento di un accordo politico tra le forze che guidano il Paese e l’approvazione della nuova Costituzione», spiega Leopoldo Tartaglia, che cura le relazioni con i sindacati dei Paesi asiatici presso il Dipartimento internazionale della Cgil ed è autore del libro Bandiere rosse sul tetto del mondo, il Nepal tra monarchia, guerra di popolo e democrazia (Ediesse, 120 pagine, 8,00 euro). «Entrambe le questioni non possono essere risolte senza la partecipazione attiva dei maoisti, che nelle elezioni del 2008 hanno ottenuto 220 dei 601 seggi che formano il Parlamento e che sono dunque il partito di maggioranza relativa, sebbene siano assenti dal governo». Nel maggio dello scorso anno, infatti, dopo soli dieci mesi alla guida del Paese, il loro leader Prachanda ha deciso di dimettersi dalla carica di primo ministro, spingendo il suo partito ad abbandonare l’esecutivo. Una scelta determinata dal contrasto esploso con il presidente Ram Baran Yadav, che aveva respinto la richiesta del premier di rimozione del capo delle forze armate, Rookmangud Katawal, reo di aver negato l’integrazione degli ex guerriglieri maoisti nell’esercito nazionale. «Quello dell’integrazione è un problema particolarmente delicato», sottolinea Tartaglia, «perché la riforma delle forze armate è stata una delle condizioni inderogabili poste dai maoisti nel maggio del 2006 per porre fine alla guerriglia (iniziata 10 anni prima e costata la vita a 13mila persone) e avviare un dialogo pacifico con il governo. Gli ex guerriglieri chiesero esplicitamente che il loro Esercito di liberazione nazionale non fosse smantellato ma venisse assimilato nelle forze militari regolari. Sul punto venne raggiunta un’intesa che prevedeva l’ingresso degli ex combattenti maoisti (circa 19mila uomini) nelle file dell’esercito regolare, composto da 90mila soldati. Ad oggi però questo accordo non ha mai trovato applicazione e la sua violazione è uno dei principali motivi di dissidio tra il partito di Prachanda e le altre formazioni politiche».

Anche la stesura della nuova Costituzione rappresenta uno scoglio non facile da arginare. «Per essere varata, la Carta costituzionale necessita dell’approvazione dei due terzi dell’Assemblea costituente. I maoisti dunque, che detengono il 38 per cento circa dell’aula, devono necessariamente partecipare al voto». Su questo punto il Paese ha rischiato già nelle scorse settimane di precipitare nel caos istituzionale. Dopo mesi di inutili trattative tra le forze politiche, il termine per varare la nuova Costituzione, fissato al 28 maggio, era prossimo a scadere e solo l’ultimo giorno l’Assemblea è giunta a un accordo per prolungare i lavori di un altro anno. «Tra le altre cose quell’intesa prevedeva, sebbene non esplicitamente, le dimissioni dell’attuale premier per consentire la formazione di un nuovo governo di unità nazionale con la partecipazione dei maoisti», spiega ancora Tartaglia. «Nei prossimi giorni si capirà se le forze politiche hanno già raggiunto una mediazione oppure se sono state semplicemente avviate delle trattative, che potrebbero durare poco tempo, settimane o mesi. È poco probabile, comunque, che il ruolo di primo ministro torni nelle mani di Prachanda, anche se non è un’ipotesi che si può escludere completamente». Tra le tante incertezze, l’unico dato sicuro è che qualsiasi accordo verrà raggiunto tra i partiti per la formazione del governo non metterà fine alle tensioni sociali che agitano il Paese. E che la strada verso la democrazia, per il Nepal, è ancora lunga e in salita.

Fonte : http://www.terranews.it

Commenti

Post popolari in questo blog

Cara Mamma e Papà

Un Cammino di Speranza e Determinazione

Buddha Jayanti: La Celebrazione della Vita di Gautama Buddha